lunedì 14 gennaio 2019

Cambiamento, potenzialità e saggezza.

Per chi persevera il futuro non è una minaccia da cui difendersi ma uno scenario desiderabile. La perseveranza è una volontà consapevole che si rinnova nella scelta al fine di raggiungere i propri obiettivi. La differenza risiede proprio nella consapevolezza: quando gli ostacoli sono difficili da superare e gli obiettivi quasi impossibili da ottenere, allora la perseveranza, non mera persistenza, si caratterizza per la presa di coscienza della propria vita orientata al "giusto fine" attraverso il "giusto mezzo". Il primo ostacolo al perseverare è il pessimismo "pervasivo" un modo sbagliato di pensare che è stato appreso nel tempo, ma che si può imparare a dissolvere. Innanzitutto con la costanza dell'azione e la consapevolezza che un obiettivo a lungo termine è insito di ostacoli e di fallimenti, ai quali mi sono preparato sia con l'accettazione, la determinazione e l'atteggiamento di positiva fiducia. Spesso possiamo avere il sentore di non farcela, ma la perseveranza e la fiducia nelle proprie capacità, nell'autoefficacia aprono una strada al superamento ottimale delle situazioni di crisi. 

martedì 3 aprile 2018

Un salto quantico nell'evoluzione della consapevolezza

Iniziamo la "resurrezione dopo Pasqua" con un salto quantico nell'evoluzione della consapevolezza, con un messaggio di Eckhart Tolle ne "Il potere di Adesso":



"La modalità di consapevolezza legata al tempo è profondamente radicata nella psiche umana. Ma quello che fai qui è parte di una profonda trasformazione che sta avvenendo nella coscienza collettiva del Pianeta e oltre: il risveglio della coscienza dal sogno della materia, della forma, della separazione


E' la fine del tempo. Stiamo interrompendo schemi mentali che dominano la vita dell'uomo da millenni. Schemi mentali che hanno generato inimmaginabili sofferenze su vasta scala. Non uso deliberatamente la parola "male". E' molto più utile chiamarlo inconsapevolezza o follia. 



[...] Il tuo contributo ne è una parte fondamentale. Comunque la vedi, si tratta di un salto quantico nell'evoluzione della consapevolezza, ed è la nostra unica possibilità di sopravvivenza come specie".



venerdì 30 marzo 2018

Una Buona Pasqua, secondo Steiner

Rudolf Steiner, COSA VUOL DIRE «RISURREZIONE»? Vivere da spirito immortale 

Una conferenza tenuta a Dornach/Svizzera il 27 marzo 1921


[...] Si può dire allora che l’idea della morte sia l’altro lato del pensiero della nascita. Perciò l’idea della Pasqua non può essere l’espressione del pensiero della morte. Quando il cristianesimo antico, partendo da una concezione orientale, espresse la sua prima forma, grazie soprattutto a Paolo, esso mise in risalto non la morte di Gesù Cristo, ma la «risurrezione» con le decise parole: «Se Cristo non fosse risorto sarebbe vana la nostra fede.» La risurrezione, cioè il trionfo sopra la morte, il superamento della morte – questo era in prima linea il pensiero pasquale, l’essenza della primigenia forma assunta dal cristianesimo ancora sotto l’influsso della sapienza orientale. [...]

Ovunque vediamo come la cristianità delle origini sempre di nuovo fosse richiamata alle parole del Vangelo: «Colui che cercate non è qui.» Dovete cercarlo nei mondi spirituali, possiamo aggiungere noi. Non dovete più cercarlo nel mondo fisico-sensibile. Se lo fate vi si potrà rispondere soltanto con le parole: «Colui che voi cercate quale essere fisico-sensibile non è più nel mondo fisico-sensibile.»

[...] La concezione della religione orientale si è congiunta con la concezione dello Stato sorta in occidente. Nel quarto secolo il cristianesimo diventò religione di Stato; entrò quindi in esso qualcosa che non può più essere vera religione. Giuliano l’Apostata, che non era cristiano ma era una persona religiosa, non poté aderire a ciò che era diventato il cristianesimo dopo Costantino. Vediamo come, dapprima molto debolmente ma in modo già percettibile, il materialismo occidentale produca i suoi primi effetti in seguito al congiungersi del cristianesimo con la romanità in declino. Fra questi effetti vi è quell'immagine del Cristo Gesù che non c’era né aveva posto all’inizio del cristianesimo: la raffigurazione del Cristo Gesù quale crocifisso e sofferente, dell’Uomo dei dolori, dell’uomo che si strugge in dolori per i terribili tormenti che gli vennero inflitti.
Con questo era sorta una frattura nella concezione del mondo della cristianità: poiché l’immagine del Cristo crocifisso e sofferente, che da allora in poi perdurò per secoli, non permise più di afferrarlo nella sua essenza spirituale, ma consentì di percepirlo solo nella sua natura corporea. Quanto più perfettamente l’arte riuscì, nel corso delle successive epoche, a rappresentare i segni del dolore sul corpo umano del Salvatore appeso alla croce, tanto più vennero sparsi i germi di un sentire cristiano materialistico. Il «Crocifisso» è l’espressione del passaggio verso il materialismo cristiano.

[...]  A questa rappresentazione dell’Uomo dei dolori si unì, poi, quella del Cristo «Giudice universale», che era, in verità, espressiva piuttosto di Jahvè o Geova, di un Jahvè inteso in senso giuridico.

[...] In questo modo dobbiamo oggi richiamare all'idea della Pasqua. In questo modo il tempo nel quale rammemoriamo il pensiero pasquale diventa di nuovo una festa interiore, nella quale celebriamo in noi stessi la vittoria dello spirito sulla corporeità. Dobbiamo pur aver davanti agli occhi il Gesù crocifisso pieno di dolori, non dovendo essere antistorici. Ma dobbiamo, al di sopra della croce, vedere il Trionfatore, non toccato né dalla nascita né dalla morte. Lui solo può elevare i nostri sguardi alle vastità eterne della vita spirituale. Solo in questo modo possiamo avvicinarci di nuovo alla vera essenza del Cristo.

[...] Si potrà celebrare una Pasqua universale quando un numero sufficiente di uomini capirà che è necessario che lo Spirito risorga all’interno della civiltà moderna! Questo fatto potrà esprimersi esteriormente così: l’uomo non ricercherà soltanto nel modo che gli viene imposto stando alle leggi naturali o secondo le leggi storiche, ad esse simili, ma sentirà il desiderio di indagare la natura del proprio volere, di conoscere la propria libertà, sentirà in sé l’impulso a sperimentare la vera natura della volontà umana, quella che porta l’uomo oltre la morte, ma che deve essere osservata spiritualmente per poter essere riconosciuta nella sua vera forma.

[...] L’uomo non deve lasciarsi stordire dall’immagine del Salvatore che muore sommerso dai dolori. Deve imparare che il dolore è connesso col fatto di essere legati all’esistenza materiale. Questo era uno dei principi fondamentali dell’antica sapienza, scaturito ancora dalle radici istintive del conoscere umano e che noi, ora, dobbiamo riconquistare mediante un conoscere cosciente. Secondo questo principio il dolore origina dalla connessione con la materia, la sofferenza è generata dal fatto che l’uomo si unisce alla materia. Sarebbe d’altro canto aberrante credere che il Cristo non abbia patito dolore per il fatto di essere passato per la porta della morte in qualità di essere divino-spirituale. Ritenere che il suo sia stato soltanto un dolore apparente è un pensiero che non ha senso; quel dolore deve essere considerato reale nel senso più efficace che ci sia. Però non va pensato in senso opposto alla sua realtà. Dobbiamo di nuovo riconquistare qualcosa di ciò che si presenta come Mistero del Golgota a uno sguardo d’insieme sull’evoluzione dell’umanità. 

lunedì 2 gennaio 2017

Gestione del cambiamento: i momenti che stanno "in mezzo"

Non è tanto il cambiamento in sé che ci spaventa, o l'essere troppo legati ai vecchi metodi, ma è di ciò che sta in mezzo che abbiamo paura. È come se ci mancasse per un attimo il terreno sotto i piedi.
Per la buona riuscita del progetto di cambiamento è necessario, quindi, comprendere quali sono i momenti critici al fine di poterli affrontare al meglio.

















Un momento particolarmente critico è spesso quello della transizione, cioè il periodo tra una situazione che sta per finire ed una nuova che sta per incominciare.
Non a caso nella lingua cinese la parola crisi è identificata da due ideogrammi: problema e opportunità.


Problema e opportunità, spesso, si manifestano nella stessa persona in momenti diversi o contribuiscono a generare uno stato confusionale attraverso emozioni contrastanti.

L’errore più comune nella gestione del cambiamento è sottovalutare l’effetto emotivo che esso provoca sulle persone e che potrebbe bloccare il cambiamento stesso.



Le persone non vedono nessun problema da risolvere e/o nessuna utilità nel cambiamento proposto, il quale crea solo disagio, perché può significare dover uscire dalla propria ‘zone of comfort’.
Con ogni cambiamento si lascia una strada per imboccarne una nuova; ciò crea talvolta un senso di perdita, incertezze e paura dell’ignoto.L’impatto dipende dalla dimensione del cambiamento e dalla predisposizione individuale della persona ad avere più o meno bisogno di stabilità e certezze nella vita.
Le persone pongono obiezioni quando hanno paura di sembrare incompetenti o quando non vengono supportate a sufficienza nell'apprendimento delle nuove nozioni. 
Più grande è il gap fra le competenze richieste dalla nuova situazione e le competenze possedute, più forte sarà il senso di scoraggiamento nelle persone.

Esperienze negative con progetti di cambiamento falliti impattano sulla percezione delle persone; ciò crea ulteriore scoraggiamento.
  • Il periodo comunemente considerato più critico è quello della transizione: si sa cosa si perde, senza aver già acquisito le cognizioni relative al nuovo stato.
  • Il superamento del momento di transizione permette di passare da una percezione di pericolo ad una percezione di opportunità.
  • Sensazioni negative, ma frequenti, sono: disagio, isolamento, senso di perdita, scoraggiamento, frustrazione, nostalgia.

giovedì 29 dicembre 2016

Il coraggio di cambiare: una poesia di Hermann Hesse

GRADINI 

Come ogni fior languisce e
giovinezza cede a vecchiaia,
anche la vita in tutti i gradi suoi fiorisce,
insieme ad ogni senno e virtù, né può durare eterna.
Quando la vita chiama, il cuore
sia pronto a partire ed a ricominciare,
per offrirsi sereno e valoroso ad altri, nuovi vincoli e legami.
Ogni inizio contiene una magia
che ci protegge e a vivere ci aiuta.
Dobbiamo attraversare spazi e spazi,
senza fermare in alcun d'essi il piede,
lo spirto universal non vuol legarci,
ma su di grado in grado sollevarci.
Appena ci avvezziamo ad una sede
rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:
sol chi è disposto a muoversi e partire
vince la consuetudine inceppante.
Forse il momento stesso della morte
ci farà andare incontro a nuovi spazi:
della vita il richiamo non ha fine....
Su, cuore mio, congedati e guarisci...
(Hermann Hesse, in Le stagioni della vita, Oscar Mondadori, 1998)

La "crisi" secondo Albert Einstein

"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose".

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. 
La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. 
Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere 'superato'. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. 
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. 
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. 
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. 
Invece, lavoriamo duro. 
Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
A.Einstein, Come io vedo il mondo, N.C. Roma, 1975