Rudolf Steiner, COSA VUOL DIRE
«RISURREZIONE»?
Vivere da spirito immortale
Una conferenza tenuta a Dornach/Svizzera
il 27 marzo 1921
[...] Si può dire allora che l’idea della morte sia l’altro lato
del pensiero della nascita. Perciò l’idea della Pasqua non
può essere l’espressione del pensiero della morte.
Quando il cristianesimo antico, partendo da una concezione
orientale, espresse la sua prima forma, grazie
soprattutto a Paolo, esso mise in risalto non la morte di
Gesù Cristo, ma la «risurrezione» con le decise parole:
«Se Cristo non fosse risorto sarebbe vana la nostra fede.» La risurrezione, cioè il trionfo sopra la morte, il superamento
della morte – questo era in prima linea il pensiero
pasquale, l’essenza della primigenia forma assunta dal cristianesimo
ancora sotto l’influsso della sapienza orientale. [...]
Ovunque vediamo come la cristianità delle origini
sempre di nuovo fosse richiamata alle parole del Vangelo:
«Colui che cercate non è qui.» Dovete cercarlo nei mondi
spirituali, possiamo aggiungere noi. Non dovete più cercarlo
nel mondo fisico-sensibile. Se lo fate vi si potrà
rispondere soltanto con le parole: «Colui che voi cercate
quale essere fisico-sensibile non è più nel mondo fisico-sensibile.»
[...] La concezione della religione orientale si è congiunta con
la concezione dello Stato sorta in occidente. Nel quarto secolo il cristianesimo diventò religione di Stato; entrò quindi
in esso qualcosa che non può più essere vera religione. Giuliano l’Apostata, che non era cristiano ma era una
persona religiosa, non poté aderire a ciò che era diventato
il cristianesimo dopo Costantino. Vediamo come, dapprima
molto debolmente ma in modo già percettibile, il
materialismo occidentale produca i suoi primi effetti in
seguito al congiungersi del cristianesimo con la romanità
in declino.
Fra questi effetti vi è quell'immagine del Cristo Gesù
che non c’era né aveva posto all’inizio del cristianesimo:
la raffigurazione del Cristo Gesù quale crocifisso e sofferente,
dell’Uomo dei dolori, dell’uomo che si strugge in
dolori per i terribili tormenti che gli vennero inflitti.
Con questo era sorta una frattura nella concezione del
mondo della cristianità: poiché l’immagine del Cristo
crocifisso e sofferente, che da allora in poi perdurò per
secoli, non permise più di afferrarlo nella sua essenza
spirituale, ma consentì di percepirlo solo nella sua natura
corporea.
Quanto più perfettamente l’arte riuscì, nel corso delle
successive epoche, a rappresentare i segni del dolore sul
corpo umano del Salvatore appeso alla croce, tanto più
vennero sparsi i germi di un sentire cristiano materialistico.
Il «Crocifisso» è l’espressione del passaggio verso il
materialismo cristiano.
[...] A questa rappresentazione dell’Uomo dei dolori si unì,
poi, quella del Cristo «Giudice universale», che era, in
verità, espressiva piuttosto di Jahvè o Geova, di un Jahvè
inteso in senso giuridico.
[...] In questo modo dobbiamo oggi richiamare all'idea
della Pasqua. In questo modo il tempo nel quale rammemoriamo
il pensiero pasquale diventa di nuovo una
festa interiore, nella quale celebriamo in noi stessi la vittoria
dello spirito sulla corporeità.
Dobbiamo pur aver davanti agli occhi il Gesù crocifisso
pieno di dolori, non dovendo essere antistorici. Ma
dobbiamo, al di sopra della croce, vedere il Trionfatore,
non toccato né dalla nascita né dalla morte. Lui solo può
elevare i nostri sguardi alle vastità eterne della vita spirituale.
Solo in questo modo possiamo avvicinarci di nuovo
alla vera essenza del Cristo.
[...] Si potrà celebrare una Pasqua universale quando un numero
sufficiente di uomini capirà che è necessario che lo Spirito
risorga all’interno della civiltà moderna!
Questo fatto potrà esprimersi esteriormente così: l’uomo
non ricercherà soltanto nel modo che gli viene imposto
stando alle leggi naturali o secondo le leggi storiche,
ad esse simili, ma sentirà il desiderio di indagare la natura
del proprio volere, di conoscere la propria libertà, sentirà
in sé l’impulso a sperimentare la vera natura della volontà
umana, quella che porta l’uomo oltre la morte, ma che
deve essere osservata spiritualmente per poter essere
riconosciuta nella sua vera forma.
[...] L’uomo non deve lasciarsi stordire dall’immagine del
Salvatore che muore sommerso dai dolori. Deve imparare
che il dolore è connesso col fatto di essere legati all’esistenza
materiale. Questo era uno dei principi fondamentali dell’antica
sapienza, scaturito ancora dalle radici istintive del conoscere
umano e che noi, ora, dobbiamo riconquistare mediante
un conoscere cosciente. Secondo questo principio
il dolore origina dalla connessione con la materia, la sofferenza
è generata dal fatto che l’uomo si unisce alla materia.
Sarebbe d’altro canto aberrante credere che il Cristo
non abbia patito dolore per il fatto di essere passato per
la porta della morte in qualità di essere divino-spirituale.
Ritenere che il suo sia stato soltanto un dolore apparente
è un pensiero che non ha senso; quel dolore deve essere
considerato reale nel senso più efficace che ci sia. Però
non va pensato in senso opposto alla sua realtà. Dobbiamo
di nuovo riconquistare qualcosa di ciò che si presenta
come Mistero del Golgota a uno sguardo d’insieme
sull’evoluzione dell’umanità.
«L’evoluzione è la lotta di una Coscienza resa sonnambula nella Materia per destarsi ed essere libera e trovare e possedere se stessa e tutte le proprie possibilità sino al limite estremo e più vasto, all’ultimo e più elevato. [...] In questa evoluzione l’uomo mentale non è la meta e il fine, il valore di completamento, l’ultimo significato più elevato [...] L’uomo non è la conclusione, ma solo un mezzo termine, un essere di transizione, una creatura strumentale intermedia.» (Sri Aurobindo)
venerdì 30 marzo 2018
Una Buona Pasqua, secondo Steiner
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