venerdì 30 marzo 2018

Una Buona Pasqua, secondo Steiner

Rudolf Steiner, COSA VUOL DIRE «RISURREZIONE»? Vivere da spirito immortale 

Una conferenza tenuta a Dornach/Svizzera il 27 marzo 1921


[...] Si può dire allora che l’idea della morte sia l’altro lato del pensiero della nascita. Perciò l’idea della Pasqua non può essere l’espressione del pensiero della morte. Quando il cristianesimo antico, partendo da una concezione orientale, espresse la sua prima forma, grazie soprattutto a Paolo, esso mise in risalto non la morte di Gesù Cristo, ma la «risurrezione» con le decise parole: «Se Cristo non fosse risorto sarebbe vana la nostra fede.» La risurrezione, cioè il trionfo sopra la morte, il superamento della morte – questo era in prima linea il pensiero pasquale, l’essenza della primigenia forma assunta dal cristianesimo ancora sotto l’influsso della sapienza orientale. [...]

Ovunque vediamo come la cristianità delle origini sempre di nuovo fosse richiamata alle parole del Vangelo: «Colui che cercate non è qui.» Dovete cercarlo nei mondi spirituali, possiamo aggiungere noi. Non dovete più cercarlo nel mondo fisico-sensibile. Se lo fate vi si potrà rispondere soltanto con le parole: «Colui che voi cercate quale essere fisico-sensibile non è più nel mondo fisico-sensibile.»

[...] La concezione della religione orientale si è congiunta con la concezione dello Stato sorta in occidente. Nel quarto secolo il cristianesimo diventò religione di Stato; entrò quindi in esso qualcosa che non può più essere vera religione. Giuliano l’Apostata, che non era cristiano ma era una persona religiosa, non poté aderire a ciò che era diventato il cristianesimo dopo Costantino. Vediamo come, dapprima molto debolmente ma in modo già percettibile, il materialismo occidentale produca i suoi primi effetti in seguito al congiungersi del cristianesimo con la romanità in declino. Fra questi effetti vi è quell'immagine del Cristo Gesù che non c’era né aveva posto all’inizio del cristianesimo: la raffigurazione del Cristo Gesù quale crocifisso e sofferente, dell’Uomo dei dolori, dell’uomo che si strugge in dolori per i terribili tormenti che gli vennero inflitti.
Con questo era sorta una frattura nella concezione del mondo della cristianità: poiché l’immagine del Cristo crocifisso e sofferente, che da allora in poi perdurò per secoli, non permise più di afferrarlo nella sua essenza spirituale, ma consentì di percepirlo solo nella sua natura corporea. Quanto più perfettamente l’arte riuscì, nel corso delle successive epoche, a rappresentare i segni del dolore sul corpo umano del Salvatore appeso alla croce, tanto più vennero sparsi i germi di un sentire cristiano materialistico. Il «Crocifisso» è l’espressione del passaggio verso il materialismo cristiano.

[...]  A questa rappresentazione dell’Uomo dei dolori si unì, poi, quella del Cristo «Giudice universale», che era, in verità, espressiva piuttosto di Jahvè o Geova, di un Jahvè inteso in senso giuridico.

[...] In questo modo dobbiamo oggi richiamare all'idea della Pasqua. In questo modo il tempo nel quale rammemoriamo il pensiero pasquale diventa di nuovo una festa interiore, nella quale celebriamo in noi stessi la vittoria dello spirito sulla corporeità. Dobbiamo pur aver davanti agli occhi il Gesù crocifisso pieno di dolori, non dovendo essere antistorici. Ma dobbiamo, al di sopra della croce, vedere il Trionfatore, non toccato né dalla nascita né dalla morte. Lui solo può elevare i nostri sguardi alle vastità eterne della vita spirituale. Solo in questo modo possiamo avvicinarci di nuovo alla vera essenza del Cristo.

[...] Si potrà celebrare una Pasqua universale quando un numero sufficiente di uomini capirà che è necessario che lo Spirito risorga all’interno della civiltà moderna! Questo fatto potrà esprimersi esteriormente così: l’uomo non ricercherà soltanto nel modo che gli viene imposto stando alle leggi naturali o secondo le leggi storiche, ad esse simili, ma sentirà il desiderio di indagare la natura del proprio volere, di conoscere la propria libertà, sentirà in sé l’impulso a sperimentare la vera natura della volontà umana, quella che porta l’uomo oltre la morte, ma che deve essere osservata spiritualmente per poter essere riconosciuta nella sua vera forma.

[...] L’uomo non deve lasciarsi stordire dall’immagine del Salvatore che muore sommerso dai dolori. Deve imparare che il dolore è connesso col fatto di essere legati all’esistenza materiale. Questo era uno dei principi fondamentali dell’antica sapienza, scaturito ancora dalle radici istintive del conoscere umano e che noi, ora, dobbiamo riconquistare mediante un conoscere cosciente. Secondo questo principio il dolore origina dalla connessione con la materia, la sofferenza è generata dal fatto che l’uomo si unisce alla materia. Sarebbe d’altro canto aberrante credere che il Cristo non abbia patito dolore per il fatto di essere passato per la porta della morte in qualità di essere divino-spirituale. Ritenere che il suo sia stato soltanto un dolore apparente è un pensiero che non ha senso; quel dolore deve essere considerato reale nel senso più efficace che ci sia. Però non va pensato in senso opposto alla sua realtà. Dobbiamo di nuovo riconquistare qualcosa di ciò che si presenta come Mistero del Golgota a uno sguardo d’insieme sull’evoluzione dell’umanità. 

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